Tokyo e l'Italia, da Pamich ai magici 5 ori

10 Settembre 2025

L’atletica torna nella capitale del Giappone a quattro anni dall’abbraccio Tamberi&Jacobs e dai trionfi di Stano, Palmisano e staffetta. Una storia che nasce dai Giochi 1964 passando per il titolo mondiale di Damilano

di Fausto Narducci

Tokyo e l’atletica italiana sono stretti in un abbraccio. Quello che il 1° agosto 2021 ha unito indissolubilmente gli ori di Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi nei 13 minuti più esaltanti della nostra atletica ma anche quello che ha simbolicamente legato i 7 milioni di telespettatori (con il 46% di share, quindi quasi un italiano su due di quelli davanti ai teleschermi) che hanno fatto registrare il picco di ascolto in piena era Covid, quindi in un momento molto delicato della nostra esistenza. Traguardo storico ma soprattutto inimmaginabile quello dei 5 ori di Tokyo 2021 che hanno dato vita alla nuova era della nostra atletica che stiamo vivendo ancora adesso rassegna dopo rassegna. Marcell Jacobs (100), Gianmarco Tamberi (alto), Massimo Stano e Antonella Palmisano (20 km di marcia) e la 4x100 (Lorenzo Patta, Eseosa Desalu e Filippo Tortu oltre allo stesso Jacobs) sono stati gli artefici dell’incredibile secondo posto nel medagliere alle spalle solo degli Stati Uniti. Solo uno di questi (Massimo Stano) sarà assente a quattro anni di distanza nei prossimi Mondiali di Tokyo e anche questo, al di là delle condizioni di forma di alcuni, è un segnale positivo.

Ma il legame fra l’atletica italiana e la capitale giapponese, a livello di grandi manifestazioni, parte da molto più lontano. Prima di raggiungere la quasi sommità del medagliere l’Italia è dovuta partire dai gradini più bassi della scala: un oro e un bronzo il bilancio dell’Olimpiade 1964 e soltanto un oro quello dei Mondiali 1991. Ripercorriamo i tre precedenti della grande atletica a Tokyo.

Olimpiade 1964: oro Abdon Pamich (50 km marcia)  
Il 3 ottobre Abdon Pamich taglierà il traguardo dei 92 anni ed è ancora in invidiabili condizioni di forma. L’esule fiumano, azzurro per oltre un ventennio, il 18 ottobre 1964 coronò la sua marcia a ostacoli conquistando sul traguardo dello stadio olimpico quell’oro della 50 km che gli era sfuggito a Melbourne ’56 (quarto nella 50 e 11° nella 20) e nell’Olimpiade casalinga di Roma ’60 (bronzo) quando i pronostici erano dalla sua parte. Un conto aperto con la sfortuna che si riaprì a Messico ’68 (ritirato) e Monaco ’72 (squalificato) ma fu messo almeno in pari dall’impresa giapponese. Ecco quanto scrisse Gualtiero Zanetti sulla Gazzetta dello Sport del 19 ottobre 1964. “Da almeno dieci anni Abdon Pamich inseguiva la medaglia d’oro vinta oggi a Tokyo. Favorito a Melbourne, più che favorito a Roma, il marciatore azzurro non aveva mai colto nel segno e già gli stava per essere assegnata quella qualifica di predestinato all’insuccesso che nell’atletica leggera è abbastanza ricorrente… L’averlo visto oggi trionfare ci è parso un atto di giustizia verso la sua caparbietà di atleta e la sua serietà di uomo troppo deriso nelle due Olimpiadi precedenti, dove senza dubbio il più forte era lui”.  Nel ’56 Pamich era stato tradito da una preparazione folle, nel ’60 da un errore tattico e anche a Tokyo la sorte cercò di mettergli lo sgambetto. Un rifornimento sbagliato con il the freddo che provocò una crisi intestinale e al trentesimo chilometro ecco l’esigenza fisiologica entrata nell’aneddotica dello sport: un gruppo di soldati giapponesi che lo copriva (ma qualcuno dice che si trattò semplicemente di una siepe) e Pamich che riemerse fra gli applausi del pubblico che aveva capito tutto. Riprese in due chilometri l’inglese Paul Nihill e tagliò il traguardo da vincitore con 19 secondi di vantaggio e il record olimpico di 4h11:13. Due volte campione europeo e primatista mondiale in pista, ebbe la soddisfazione di fare il portabandiera a Monaco ’72.

Olimpiade ’64: bronzo Salvatore Morale (400 ostacoli)
Una vera impresa quella che Salvatore Morale compì nei 400hs a Tokyo ’64 dove, lui che era stato campione europeo nel ’62 a Belgrado eguagliando in 49.2 il record mondiale dell’americano Glenn Davis, arrivò in non perfette condizioni fisiche e distratto dagli studi universitari. Il ricordo della precedente eliminazione in semifinale a Roma ’60 fu importante anche per gestire la sfida in famiglia con Roberto Frinolli, suo futuro cognato (sposarono le due sorelle nuotatrici Anna e Daniela Beneck) quando entrambi si presentarono alla finale del 16 ottobre con Frinolli in vantaggio (50.2 contro 50.4 in semifinale). Col futuro primatista mondiale Rex Cawley praticamente imbattibile sotto il muro dei 50” (49.6), Morale fu bravo ad acciuffare il bronzo sia pure con la beffa di aver realizzato lo stesso tempo dell’argento britannico John Cooper (50.1). Sesto Frinolli (50.7) che poi gli sarebbe succeduto come campione europeo a Budapest ’66. Dopo l’eliminazione in batteria della 4x400 (sempre insieme a Frinolli) Morale decise di ritirarsi per dedicarsi alla carriera di allenatore e dirigente.

Mondiali 1991: oro Maurizio Damilano (20 km marcia)
Lo stesso traguardo dello stadio di Abdon Pamich nella 50 km olimpica ma stavolta, il 24 agosto 1991, l’arrivo della 20 km fu al centro di un piccolo giallo per consegnare la medaglia d’oro al nostro Maurizio Damilano. Roba da stropicciarsi gli occhi per chi si mise davanti ai teleschermi in quella prima notte di un Mondiale che poi non ci regalò altre gioie. Neanche il caldo e l’umidità asfissiante avevano tolto la proverbiale lucidità al 34enne Maurizio Damilano, campione olimpico 1980 e già campione mondiale nell’87 a Roma, che sbucò in testa dalla Porta di Maratona per guardare quasi imperterrito con la coda dell’occhio la rimonta disperata del sovietico (poi russo) Mikhail Shchennikov che lo sopravanzò sul traguardo esultando per la vittoria. Ma mancava ancora un giro di pista e Maurizio, forte della sua esperienza ma anche di un attento studio del chilometraggio, lo sapeva bene. Quasi surreali le immagini del sovietico costretto a ripartire per inseguire l’azzurro che completava l’ultimo giro con il dito sollevato per indicargli che mancava ancora un giro. “Sapevo che era passato troppo poco tempo da quando eravamo transitati all’ultimo chilometro, non potevamo essere già all’arrivo” dirà dopo che lo stesso Shchennikov gli strinse cavallerescamente la mano sul traguardo. Un bis iridato quasi insperato visti i problemi affrontati dopo il titolo di Roma. Un oro che pagava la scelta tecnica di non allungare la distanza e che lo portarono a concludere la ventennale carriera nel ’92 a Barcellona con il quarto posto e il passaggio di consegne al più giovane De Benedictis, bronzo.

Olimpiade 2021: Jacobs & Tamberi d’oro
Dietro, in mezzo e attorno a quell’abbraccio che il 1° agosto 2021 ha incantato il mondo, alle spalle dei due ori di Jacobs&Tamberi, scritti così come se fosse un marchio di fabbrica, ci sono due storie di talento ma anche di perseveranza, quella che serve a superare gli infortuni e di lungimiranza, quella che porta ai cambi di rotta per raggiungere gli obiettivi. Ma restiamo ai fatti. Prima Tamberi, ovvero la resurrezione dall’infortunio alla caviglia sinistra del 15 luglio 2016 a Montecarlo che rimane inciso sul gesso con cui si presenta da infortunato ai Giochi di Rio 2016 e che rimane simbolicamente a bordo pedana, con la data modificata da 2020 a 2021 per il rinvio olimpico causa pandemia, come testimone silenzioso di una scalata perfetta fino a 2,37: sette salti superati alla prima prova. Lo stesso fa però il gemello del Qatar, Mutaz Barshim, e qui lo stadio olimpico di Tokyo vuoto diventa lo scenario migliore per un thriller che si definisce a poco a poco. Barshim che pone la fatidica domanda (“Possiamo avere due ori?”) al giudice, lo sguardo d’intesa fra i due rivali, l’esplosione della gioia, con Tamberi che salta in braccio a Barshim. Il suggello di un’amicizia nel rispetto dei regolamenti ma anche una lezione di sport, quello che unisce non divide. Non esiste un cronometraggio ufficiale ma trascorrono fra gli 11 e i 13 minuti (dipende da quando si schiaccia il simbolico cronometro) per assistere al secondo oro azzurro e al secondo abbraccio, anche questo tutto azzurro. Dopo una falsa partenza del britannico Zharnel Hughes, Marcell Jacobs vince la gara principe dell’Olimpiade con uno stratosferico 9.80 che migliora per la seconda volta il record europeo dopo il 9.84 delle semifinali. Qui il giallo è in tutto quello che succede nei 155 minuti che trascorrono fra semifinale e finale. Nel ’60 a Roma prima di vincere i 200 olimpici Livio Berruti aveva ripassato le materie universitarie, Jacobs invece ripassa la mano dei muscoli che gli procurano i crampi. Sapremo dopo che aveva deciso di non disputare la finale, che la telefonata con la mental coach Nicoletta Romanazzi e l’intervento decisivo del coach Paolo Camossi hanno sciolto i dubbi e poi quella volata che riscrive la storia: nei 100 metri mai nessun italiano aveva conquistato la finale olimpica, ora si passa direttamente all’oro.

Olimpiadi 2021: Stano & Palmisano d’oro
I raccoglitori d’oro azzurri nelle piantagioni giapponesi si spostano sul circuito dell’Odori Park di Sapporo, quasi 1000 km a nord della capitale. Il 5 e 6 agosto nel giro di 24 ore sono due pugliesi a strappare sulla stessa distanza (20 km) i due ramoscelli d’oro. Due storie e due gare fotocopia come non si è mai visto: stesso allenatore (Patrizio Parcesepe), identici percorsi di allenamento (Ostia e Castelporziano) e quasi la stessa età (29 anni Massimo e 30 Antonella che li compie proprio nel giorno dell’oro). Diverso è il valore storico della medaglia: Stano nel solco della tradizione (quarto oro olimpico dopo Pamich ’64 sempre in Giappone ma a Tokyo e nella 50 km, Maurizio Damilano a Mosca ’80 e Ivano Brugnetti ad Atene 2004); Antonella per aprire una strada: prima donna a trionfare nella specialità e solo quarta italiana di sempre dopo Ondina Valla, Sara Simeoni e Gabriella Dorio. Anche la condotta di gara è molto simile perché entrambi aspettano il 10° km prima di partire all’arrembaggio. Stano precede due giapponesi (Ikeda e Yamanishi), Palmisano la colombiana Arenas e la cinese Liu Hong.

Olimpiadi 2021: la 4x100 d’oro
Si scrive staffetta, si chiama apoteosi. Il quinto oro olimpico dell’atletica arriva il 6 agosto dalla 4x100 con Lorenzo Patta, Marcell Jacobs, Eseosa (Fausto) Desalu e Filippo Tortu. Quattro uomini d’oro che concorrono alla pari al record italiano di 37.50 (secondo tempo continentale e quinto mondiale all-time) che migliora il 37.95 della semifinale e lascia a un centesimo la Gran Bretagna poi squalificata per doping, con l’argento che passa ai canadesi. Resterà per sempre negli occhi quel collo allungato di Filippo sul britannico Nethaneel Mitchell-Blake ma statisticamente è Jacobs a fare il colpaccio: seconda doppietta olimpica azzurra (dopo il marciatore Frigerio ad Anversa 1920) e secondo europeo dopo Armin Hary (Roma ’60) a vincere 100 e 4x100.

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